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UOMINI MALTRATTANTI: prevenzione e cambiamento culturale di Maria Concetta Mingiano - Psicologa e psicoterapeuta, responsabile del servizio di Psicologia di AIED Napoli

Prenderò in prestito il titolo di un libro su questo tema scritto da uno dei pionieri in Italia del lavoro con uomini maltrattanti, Giacomo Grifoni “NON ESISTE UNA GIUSTIFICAZIONE”.

Non esiste una giustificazione alla violenza di un essere umano contro un altro essere umano, qualunque siano il suo vissuto, le sue esperienze pregresse, le violenze che può aver subito direttamente o a cui può avere assistito.

Non esiste giustificazione, e questa è la imprescindibile base di partenza per il percorso di sostegno agli uomini maltrattanti che è il fulcro del nostro progetto.

Perché gli uomini e perché un progetto di sostegno agli uomini maltrattanti, quando sono soprattutto le donne ad essere maltrattate, violate, uccise? Perché uomini e donne camminano insieme e il cambiamento dell’uno ha, inevitabilmente, conseguenze sull’altra e viceversa.

Perché, anche se si continua, ed è fondamentale farlo, a sostenere in ogni modo le vittime di violenza, donne e bambini, che hanno diritto a vivere una vita serena, al sicuro ed al riparo della violenza, se non interveniamo anche su chi quella violenza la agisce, rischiamo di fare un lavoro a metà, perché questi uomini riproporranno alla stessa donna o ad altre donne le medesime dinamiche relazionali violente o le acuiranno qualora la loro compagna dovesse decidere di chiudere il rapporto.

Il cambiamento è possibile solo attraverso la consapevolezza di sé e delle proprie modalità di considerare se stessi, gli altri e il mondo e la consapevolezza passa attraverso la possibilità di rileggere la realtà per quello che è, senza i filtri ingannevoli e, al tempo stesso, rassicuranti, forniti da un certo tipo di cultura, dalle paure, dalle consuetudini, dall’incapacità e, soprattutto, dall’estrema difficoltà a riconoscere le proprie emozioni, i propri sentimenti ed i pensieri insani che ne sono all’origine, così come a dare il giusto peso alle azioni, violente, offensive, distruttive che ne possono derivare.

Se non sono consapevole, non posso comprendere e se non comprendo non posso decidere di cambiare.

Nel lavoro con gli uomini maltrattanti, la nostra attenzione si focalizza in modo particolare sul quel tipo di violenza, quella psicologica, spesso così difficile da riconoscere come tale, non solo per i tanti uomini che la esercitano, ma  anche per la stessa donna che la subisce, nonostante ne sperimenti costantemente la sofferenza, il disagio, il senso di impotenza,di smarrimento  e di disistima di se stessa che ne deriva, a differenza della violenza fisica che viene immediatamente riconosciuta, anche se, purtroppo,  spesso minimizzata (le ho dato/mi ha dato solo uno schiaffo), giustificata (è colpa tua se io perdo la calma/forse sono io che lo provoco), negata (non volevo farti male/non voleva farmi male).

Parliamo di quel tipo di violenza strisciante che si nasconde dietro continue battute di spirito sulle presunte incapacità della donna o sull’aspetto fisico, o dietro una presenza costante e soffocante, spacciata per impossibilità di stare lontano dall’oggetto amato, o dietro interrogatori ossessivi del perché e del per come sono state dette o fatte certe cose, o dietro il controllo del denaro, svalorizzando e offendendo l’altra, minacciandola ed accusandola, facendola sentire in colpa per la stessa violenza che le viene riversata addosso.

La violenza psicologica accompagna sempre quella fisica, ma, non sempre ne è accompagnata; anzi, spesso si può manifestare da sola per lungo tempo, non riconosciuta per quello che è, o ignorata o giustificata, e può andare avanti , anche per molti anni, senza che ci sia violenza fisica, ma non per questo meno devastante e distruttiva per chi la subisce. Spesso avviene il passaggio all’atto, le botte, l’isolamento dal contesto familiare e sociale, i danni fisici gravissimi, l’uccisione. Allora anche la violenza psicologica pregressa, quella presente forse per anni, alimentata dalle giustificazioni al proprio operato che l’uomo stesso si riconosce per assolversi, viene riconosciuta ma spesso, troppo spesso, è troppo tardi.

Noi riteniamo che sia indispensabile intervenire ben prima di questi tragici epiloghi, attraverso una educazione o rieducazione affettiva dell’uomo che ponga basi sane e rispettose ed equilibrate nel rapporto con l’altra, che non deve essere più considerata come un oggetto di sua proprietà su cui esercitare possesso e potere, da esaltare o distruggere a seconda del proprio bisogno, ma una persona altra da sé, con cui costruire o anche chiudere un rapporto su un piano di parità e rispetto reciproco, senza manipolazioni né dipendenze.

Ci rivolgiamo agli uomini perché è da tempo arrivato il momento di andare oltre il TRAGICO COPIONE dell’uomo violento, che perseguita, massacra e poi uccide e poi viene/non viene punito dalla Legge. Non ci interessa rendere giustizia alla donna violata, maltrattata, ferita, quando è morta, quando tutto è già avvenuto, ci interessa intervenire quando tutto può essere cambiato, quando le strade da percorrere possono essere ben diverse, ci interessa PREVENIRE sostenendo l’uomo portato ad usare violenza, indipendentemente dai motivi che lo spingono a farlo, a riconoscere profondamente dentro se stesso che nulla può giustificare quello che fa, alla compagna, ai figli, alle altre donne della sua vita, e che esistono altre strade da seguire, che lui può scoprire e decidere di percorrere.

 

Il beneficio di un cambiamento di tale portata, oltre, ovviamente, a liberare l’uomo dalla schiavitù e dagli effetti devastanti della propria violenza indistinta ed incontrollata, si riverbererà sulla donna, su tutte le donne e, conseguentemente, sulla società intera.

La bellissima campagna promossa in occasione della giornata contro la violenza alla donna, lanciata nel 2014 “he for she”, lui per lei, viaggia su questa lunghezza d’onda e ci dice quanto sia fondamentale “andare insieme” per cambiare le cose, a cominciare da noi stessi.

 

Ho cominciato a pensare alla necessità di un’azione di prevenzione indirizzata agli uomini maltrattanti e ad avvicinarmi, con la nostra èquipe, a chi già aveva avviato un lavoro di questo tipo, alcuni anni fa, ascoltando le parole lucide e disperate di una ragazzina siciliana, rimasta orfana con altri fratelli più piccoli dopo che suo padre aveva ucciso la moglie e poi si era suicidato: “Mio padre aveva bisogno di aiuto e nessuno lo ha capito. Nessuno lo ha aiutato”.

Con questo non vogliamo dire “poverino “ all’uomo che ha agito violenza contro una donna e fargli “pat pat” sulla spalla, vogliamo dire a quell’uomo ”quello che fai non ha giustificazioni” ed anche “puoi cambiarlo”.

E’difficile per un uomo riconoscere di essere “maltrattante”, anche perché, chi agisce così, certo non lo fa per 24 ore al giorno e 7giorni su 7 per tutto l’anno L’autoconsapevolezza è un processo doloroso, penoso, talvolta lento, costellato da ripensamenti ed autoassoluzioni, basate su convinzioni del tipo: “non è colpa mia, è lei che mi provoca, mi mente, mi manca di rispetto”, oppure “è così che si fa; tutti fanno così, anche mio padre faceva così, anche i miei amici fanno così” o ancora, e più frequentemente per tanti “io non l’ho mai picchiata, se anche ho avuto voglia di farlo, non l’ho mai fatto, e, quindi, non sono violento”. E’ difficile vedere nel silenzio accusatorio, che non permette il dialogo, nelle urla per costringere l’altra al silenzio ed alla accettazione, nel controllo sistematico del suo cellulare, delle persone che frequenta, nella richiesta degli scontrini per dimostrare le spese che ha fatto, nella costante presa in giro, spacciata come scherzo, nella gelosia ossessiva che considera l’altra, per definizione, traditrice, la violenza che si agisce e che ferisce e logora l’altra e non lascia via di scampo.

Eppure, è riuscendo a vedere la violenza, a riconoscerla nei propri pensieri, nei sentimenti e nelle azioni che è possibile sconfiggerla, riconoscendosi la possibilità di cambiamento e dandosi il permesso e gli strumenti per cambiare.

Spesso gli uomini maltrattanti sono mossi dalla paura di non essere abbastanza qualcosa: amati, apprezzati, considerati, in grado di provvedere da soli a tutte le esigenze della compagna e della famiglia, forti. Hanno paura di mostrare le proprie fragilità perché temono di essere abbandonati per queste e per il loro non essere abbastanza. Spesso non vogliono riconoscere la natura del loro malessere, o non hanno gli strumenti per farlo, e tendono a riversare sulla compagna la causa di un malessere che dipende solo da loro.

Un uomo maltrattante, come afferma la Pauncz nel suo libro “Trasformare il potere. Come riconoscere e cambiare le relazioni dannose”, esprime difficoltà riconoscibili in tutti gli uomini che usano violenza nelle relazioni interpersonali:

 

  • ha difficoltà a riconoscere le proprie emozioni ed i propri sentimenti, quindi, non riconoscendoli, non è abituato ad esprimerli, a condividerli con l’altro. Per l’uomo maltrattante parlare di sentimenti con qualcuno è come cercare di esprimersi in una lingua straniera del tutto sconosciuta, incomprensibile.Conseguentemente, tende ad attribuire la causa di ciò che prova alla compagna (è colpa tua se io sto male), anche perché esiste un forte modello culturale e sociale che attribuisce alla donna la responsabilità del benessere emotivo della famiglia, per cui, se nella famiglia ci sono tensioni e conflitti è lei che deve trovare la soluzione;
  • poiché non è socialmente accettabile per gli uomini essere fragili, non riconosce né, ancor meno, accetta la propria fragilità, che maschera con un atteggiamento apparentemente forte e sicuro;
  • l’uomo maltrattante manca di empatia, poiché si pone al centro dello schermo, estremamente preoccupato di sé stesso, non riesce a mettersi nei panni dell’altro e non riesce ad ascoltarlo veramente, attribuendo a ciò che dice e fa, significati nascosti, frutto dei propri pregiudizi, delle proprie convinzione, delle proprie paure;
  • gli unici sentimenti che gli uomini maltrattanti sembrano autorizzati ad esprimere, forse per cultura, forse perché, nell’evoluzione della specie umana sono sopravvissuti gli uomini più aggressivi, più capaci di difendere il territorio e la prole, sono la rabbia e l’aggressività, (ancor oggi estremamente valorizzate in molti ambiti sociali) che finiscono per diventare, per queste persone, “un sentimento ricatto” che copre tutti gli altri e fa si che, sentimenti di varia natura, vengano scambiati per rabbia, nota, familiare e, anche per questo, paradossalmente, molto più rassicurante.

La Pauncz ci fornisce l’immagine di una sorta di “imbuto emotivo”, in cui entrano tanti sentimenti dalla parte grande e ne esce dalla piccola solo rabbia.

La nostra presenza qui oggi, in un luogo di cultura, a raccontare ciò che stiamo facendo e vogliamo continuare a fare, ha lo scopo di diffondere in modo capillare l’idea della fondamentale importanza della prevenzione e del ruolo fondamentale che ciascuno di noi può svolgere, come tecnico, esperto in un settore, cittadino, donna, uomo, nel trasmettere ad altri la possibilità del cambiamento attraverso l’acquisizione di strumenti psicologici che possono aiutarci a riconoscere e cambiare ciò che è dannoso e disfunzionale al benessere.

Esiste la possibilità di un cambiamento, che pone al centro l’assunzione di responsabilità da parte degli uomini. E’ importante che si sappia che esiste un centro a Napoli dove opera una équipe di psicologi, psicoterapeuti e sociologi che si occupa del Sostegno agli uomini maltrattanti, così come è importante che ciascuno di noi, quando entra in contatto in qualunque modo (per lavoro:avvocati, giudici, psicologi, assistenti sociali, forze di polizia, insegnanti, sacerdoti, per amicizia, per legami familiari) con un uomo maltrattante o con una donna che viene maltrattata, si assuma la responsabilità di proporre, indirizzare, inviare (quando ne ha il potere), con l’obiettivo di contribuire a dare concretamente  inizio al percorso di cambiamento.

 

 

 

 

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